In Italia il territorio e' quasi totalmente a rischio idrogeologico: ben 5581 comuni, pari al 70% del totale, sono a potenziale rischio elevato. Il 100% del territorio di Calabria, Umbria e Valle d'Aosta e' in questa situazione, mentre nelle Marche riguarda il 99 e in Toscana il 98%. E' l'annuale Rapporto sulla situazione dell'Italia presentato oggi a Roma da Legambiente. Nello specifico, le regioni con le piu' alte percentuali di comuni con abitazioni in zone a rischio sono la Sicilia (93%) e la Toscana (91%). In Sardegna c'e' la maggior percentuale di comuni con interi quartieri costruiti in zone a rischio, mentre in Sicilia e Toscana si segnala anche il piu' elevato numero di comuni con insediamenti industriali e produttivi in aree esposte a rischio idrogeologico. In Italia ci sono circa 6mila cave attive e oltre 10mila abbandonate - rileva il Rapporto.
Sono pari a circa 142milioni di metri cubi i materiali estratti ogni anno tra inerti, sabbia, ghiaia. Puglia, Lombardia e Lazio da sole raggiungono il 50% del totale estratto.
Prelievi che, assieme all'eccessiva antropizzazione delle aree di esondazione naturale dei corsi d'acqua e dei versanti franosi e instabili rappresenta un rischio ulteriore.La normativa nazionale al riguardo risale al 1927, e in larga parte delle Regioni la situazione e' del tutto inadeguata per un attivita' che ha un fortissimo impatto sull'ambiente e il paesaggio.
Pochissime regioni escludono le aree ambientalmente sensibili dall'attivita' e in meta' addirittura mancano (Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise, Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) o sono incompleti i Piani delle attivita' estrattive, con sommo gaudio delle organizzazioni criminali dedite all'ecomafia. A fronte degli esorbitanti guadagni realizzati da chi scava, i canoni di concessione sono drammaticamente irrisori.
Il totale nazionale per regioni non arriva nemmeno a 53 milioni di euro rispetto al miliardo e 735 milioni di euro l'anno ricavato dai cavatori.
Non solo: negli ultimi decenni - ricorda Legambiente - il processo di trasformazione di suoli agricoli e boschivi ad usi urbani in Italia ha assunto ritmi impressionanti e impatti sempre piu' rilevanti in termini ambientali e sociali.
Il boom dell'edilizia residenziale dal 1994 ad oggi ha portato a realizzare oltre 11milioni di nuove stanze a fronte di una popolazione in leggerissima crescita. Il primo paradosso e' che questa edilizia speculativa non ha dato alcuna risposta al disagio delle persone che realmente hanno bisogno di una casa.
Il secondo e' che nessuno (Ministeri o Regioni) monitora la crescita del consumo di suolo e ha ancora definito una chiara politica in materia.
Il tema dello stop alla crescita del consumo di suolo deve entrare nell'agenda politica delle Regioni - avverte il Rapporto - perche' queste hanno competenza esclusiva in materia urbanistica. Per fermare i processi occorre dare priorita' al recupero delle aree gia' urbanizzate, fissare dei tetti massimi di nuove aree trasformabili, fermare la localizzazione di insediamenti commerciali e residenziali fuori da qualsiasi logica di pianificazione urbanistica e dei trasporti, obbligare la compensazione ecologica degli impatti creando nuovi boschi.
da: Il clandestino web